Cloudflare: finalmente la svolta
Ma andiamo con ordine. Con l’adozione di nuove strategie di lotta alla pirateria come i blocchi IP e DNS, con l’utilizzo sempre più massiccio e profondo di sistemi di monitoraggio e N&TD, con l’adozione del Regolamento Agcom, i titolari dei diritti erano riusciti negli ultimi anni a colmare il gap che li poneva cronicamente in ritardo rispetto ai pirati. La risposta dei contraffattori non si era fatta attendere ed era partita la corsa all’utilizzo delle reti distribuite e dei servizi di reverse proxy, con Cloudflare di fatto in posizione di monopolista del mercato. Servizi che nascevano per garantire sicurezza per i siti web e maggior efficienza nella fruizione degli stessi, erano diventati lo strumento principe per celare l’identità degli amministratori ed evitare misure di inibizione all’accesso. Un dato testimonia la diffusione di questa pratica: quasi il 60% dei siti bloccati da Agcom per violazione del diritto d’autore (oltre 1.000 blocchi) utilizzavano i servizi di Cloudflare. L’esplosione dei servizi di reverse proxy presentava un ulteriore profilo di rischio rispetto ai sistemi del passato: mentre le varie forme di file sharing e di messa a disposizione di file illeciti colpivano solo il mondo del diritto d’autore, l’avvento di tali sistemi colpiva anche il mondo dei marchi; così, Cloudflare sta(va) diventando il porto sicuro anche per tutti coloro che creavano e gestivano siti per la vendita di beni contraffatti (dai monitoraggi DcP è emerso che ormai circa il 30% di quei siti si servivano di Cloudflare).
Collaborava Cloudflare? Si riusciva, come con altre piattaforme, a instaurare un rapporto che prevedesse una seppur minima forma di adeguamento spontaneo? No. Cloudflare ha sempre rifiutato la qualifica di hosting provider, si è sempre appellato all’obbligo di rispondere solo al DMCA, ha puntualmente informato gli amministratori dei siti sulle richieste di rimozione e si è sempre rifiutato di terminare i servizi per i siti illegali.
24 giugno 2019: questa è la data della svolta. È la data nella quale il Tribunale ha rigettato il reclamo di Cloudflare e confermato quanto stabilito in sede cautelare.
Lo Studio Previti, con la consulenza tecnica di DcP e le acquisizioni delle prove informatiche compiute da Kopjra, ha ottenuto questo importante provvedimento al termine di una complessa azione giudiziaria. L’azione è stata costruita con il ricorso a monitoraggi profondi del web, ad acquisizioni forensi delle evidenze informatiche, all’utilizzo delle istanze Agcom e facendo leva sull’esperienza e i numerosissimi precedenti favorevoli ottenuti in materia dalla Studio.
Da notare che, nonostante Cloudflare sia al centro di roventi polemiche a livello internazionale e che sia oggetto di numerose azioni, si tratta del primo pronunciamento in assoluto sulla questione in Italia.
Con provvedimento collegiale, il Tribunale in sede di reclamo, ha confermato che:
- La competenza giurisdizionale appartiene al giudice italiano
- Come dimostrato dalla consulenza tecnica di DcP, alcuni servizi offerti dalla società californiana (‘Always online’ e ‘Cloudflare Stream’), sono qualificabili come ‘hosting’
- Trova applicazione la direttiva 2000/31/CE (e-commerce) recepita in Italia dal d.lgs 70/2003. Il ‘prestatore di servizi’ (Cloudflare) è quindi tenuto ad agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime, non appena a conoscenza dell’illecito
- Ordinato a Cloudflare di cessare immediatamente la fornitura dei servizi ai siti pirata oggetto dell’azione (anche eventuali alias riconducibili agli stessi amministratori)
- Ordinato a Cloudflare di comunicare immediatamente a RTI i dati identificativi sugli hosting provider e sugli amministratori dei siti
- Condannato Cloudflare al pagamento di una penale pari a 1.000 euro per ogni giorno in cui dovesse manifestarsi la violazione dell’ordinanza
“E’ una vittoria storica” dichiara Luca Vespignani, Amministratore Delegto di DcP e Segretario Generale di FPM (Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale), “Cloudflare era diventato il porto sicuro per chiunque volesse gestire un sito illegale e nascondere la propria identità. L’utilizzo delle CDN era anche diventato lo strumento migliore per limitare l’effetto di contromisure tecniche a difesa dei diritti come i blocchi IP e il regolamento Agcom. Questo provvedimento segna un passaggio fondamentale per la difesa del diritto d’autore e, in proiezione, anche dei marchi: senza lo “scudo” della CDN di turno, la vita per i siti illegali sarà molto più difficile”.